La Portaerei Americana USS Franklin (CV-13)

Franklin (CV-13)

di redazione
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USS Franklin (CV-13)

La USS Franklin (CV-13), soprannominata “Big Ben“, è stata una delle 24 portaerei della classe Essex costruite durante la Seconda Guerra Mondiale per la Marina degli Stati Uniti. Entrata in servizio nel gennaio 1944, partecipò a diverse campagne nel teatro del Pacifico, guadagnandosi ben quattro battle star. Ma più che per le sue vittorie, la Franklin è ricordata per essere stata la portaerei americana che subì i danni più gravi in assoluto durante il conflitto, pur riuscendo miracolosamente a sopravvivere. Una storia di coraggio, sacrificio e tenacia che merita di essere raccontata.

Una nave nata per combattere

La chiglia della Franklin venne impostata il 7 dicembre 1942, primo anniversario dell’attacco di Pearl Harbor, nei cantieri Newport News Shipbuilding and Drydock Company in Virginia. Come le altre unità della classe Essex, incorporava tutte le lezioni apprese nei primi mesi di guerra nel Pacifico, con numerosi miglioramenti rispetto alle classi precedenti.

Varata nell’ottobre 1943 ed entrata in servizio il 31 gennaio 1944, la Franklin era una portaerei imponente, con i suoi 265 metri di lunghezza, 28 di larghezza e ben 36.380 tonnellate di dislocamento a pieno carico. Il ponte di volo e l’isola erano corazzati, mentre lo scafo vantava una compartimentazione spinta e una robusta protezione subacquea. L’armamento antiaereo comprendeva inizialmente 12 cannoni da 127 mm, 32 Bofors da 40 mm e 46 mitragliere da 20 mm, ma sarebbe stato potenziato in seguito. Il gruppo aereo imbarcato poteva contare su un centinaio di velivoli tra caccia F6F Hellcat, bombardieri in picchiata SB2C Helldiver e aerosiluranti TBF Avenger.

I primi mesi di guerra

Dopo l’addestramento iniziale nelle acque dei Caraibi, nel giugno 1944 la Franklin raggiunse il Pacifico centrale per unirsi alla potente Task Force 58. Il battesimo del fuoco avvenne il 30 giugno con un attacco contro le isole Bonin in supporto agli sbarchi nelle Marianne. Nei giorni successivi, i suoi gruppi aerei colpirono duramente le difese giapponesi su Iwo Jima, Guam e Rota, appoggiando le operazioni anfibie.

Ad agosto la Franklin si spostò a sud per partecipare alla liberazione di Peleliu nelle isole Palau. Il 14 settembre, durante un attacco alle Filippine, fu attaccata da tre aerei kamikaze. Uno di essi riuscì a sganciare una bomba che colpì l’ascensore di poppa, uccidendo 3 uomini e ferendone 22. Nonostante i danni, le squadriglie della portaerei continuarono a martellare obiettivi su Leyte, Cebu e Luzon.

A ottobre la Franklin prese parte alla cruciale battaglia del Golfo di Leyte. Il 25 ottobre i suoi aerei attaccarono la flotta giapponese in ritirata dopo il disastro del giorno prima, contribuendo ad affondare la corazzata Musashi e a danneggiare diverse altre unità nemiche. Ma i giapponesi non si diedero per vinti e il 30 ottobre lanciarono una disperata incursione aerea con sei kamikaze. Nonostante l’agguerrita difesa, uno degli attaccanti suicidi riuscì a schiantarsi sul ponte di volo della Franklin, uccidendo 56 uomini e ferendone 60. L’incendio fu rapidamente domato, ma la portaerei dovette rientrare negli Stati Uniti per le riparazioni, arrivando a Bremerton il 28 novembre.

Il giorno più lungo

Il 2 febbraio 1945 la Franklin lasciò Bremerton per tornare in azione. Dopo una sosta a Pearl Harbor, il 3 marzo salpò per raggiungere la Task Force 58 a est del Giappone. A bordo erano imbarcati gli aerei del Carrier Air Group 5 che avrebbero dovuto partecipare agli attacchi in appoggio allo sbarco a Okinawa previsto per il 1 aprile.

Il 19 marzo 1945 la Franklin si trovava a circa 50 miglia dalla costa del Giappone, più vicina di qualsiasi altra portaerei americana dall’inizio della guerra. Alle 7 del mattino, lanciò un attacco contro il porto di Kure, dove erano ormeggiate diverse unità della flotta imperiale. Terminato il decollo, il comandante ridusse lo stato di allerta permettendo a parte dell’equipaggio di riposare o consumare la colazione, pur mantenendo i serventi dei cannoni ai loro posti.

Quello che accadde di lì a poco è stato definito “il peggior disastro che abbia mai colpito una portaerei americana sopravvissuta”. Alle 7:08, un bombardiere giapponese D4Y Judy, avvicinatosi non visto tra le nuvole, sganciò due bombe perforanti da 250 kg che centrarono in pieno la nave. La prima colpì il ponte di volo a centro nave, penetrando fino all’hangar sottostante dove erano stipati decine di aerei carichi di carburante e munizioni. L’esplosione e il violento incendio che ne seguirono devastarono i ponti inferiori uccidendo centinaia di uomini. La seconda bomba cadde a poppa, aprendo altri squarci.

Nel momento dell’impatto, sul ponte c’erano 31 aerei pronti al decollo, con i serbatoi pieni e le armi innescate. Le fiamme li avvolsero immediatamente facendoli esplodere uno dopo l’altro in una reazione a catena. Nell’hangar le cose andarono anche peggio: dei 22 aerei parcheggiati, 16 erano riforniti e cinque armati. I serbatoi di benzina avio si incendiarono generando esplosioni devastanti. Dei 12 razzi Tiny Tim da 300 kg, uno finì dritto sul ponte inferiore conficcandosi senza esplodere, gli altri rimbalzarono impazziti fino a detonare con effetti catastrofici.

In pochi minuti la Franklin era ridotta a un inferno: nuvole di fumo nero si levavano dalle viscere della nave, lingue di fuoco salivano decine di metri sopra il ponte di volo ormai distrutto, pezzi di metallo fuso e detriti incandescenti volavano ovunque. I fitti fumi rendevano l’aria irrespirabile costringendo gli uomini intrappolati sottocoperta a una terribile agonia. Le condutture dell’acqua erano saltate, rendendo inutili gli impianti antincendio. Uno dopo l’altro i locali macchina vennero evacuati lasciando la nave senza propulsione e energia elettrica. Il centro operativo era fuori uso e le comunicazioni interrotte. Lo spostamento dell’acqua usata per combattere le fiamme compromise ulteriormente la stabilità. La Franklin aveva solo 22 lance antincendio funzionanti e nessun estintore.

Il comandante Leslie Gehres, temendo l’esplosione dei depositi munizioni, ordinò di allagarli ma anche quell’impianto era fuori uso. Non potendo governare né comunicare con la scorta, Gehres era propenso ad abbandonare la nave per salvare i superstiti, ma il contrammiraglio Davison, imbarcato sulla Franklin come comandante del gruppo, lo esortò a non farlo perché molti uomini sotto coperta erano ancora vivi. Gehres accettò di restare e organizzò le operazioni di salvataggio e di lotta antincendio.

Ben presto le unità di scorta si avvicinarono per dare manforte, incuranti del pericolo. L’incrociatore Santa Fe si affiancò alla portaerei usando le proprie lance per irrorare i punti più caldi e imbarcando centinaia di feriti. I cacciatorpediniere raccolsero decine di naufraghi finiti in mare, spesso ustionati o feriti, portandoli a bordo per le prime cure. Molti marinai delle navi di scorta si lanciarono sulla Franklin per dare man forte ai soccorsi, alcuni perdendo a loro volta la vita.

Lentamente, grazie agli sforzi disperati dei soccorritori e al coraggio di chi era rimasto a bordo, l’incendio venne circoscritto e la nave fu tratta in salvo. Ma il prezzo pagato fu altissimo: 724 morti e 265 feriti secondo le cifre ufficiali, probabilmente sottostimate. Altre fonti parlano di 807 morti e almeno 487 feriti. Comunque la si guardi, quella del 19 marzo 1945 fu la giornata più sanguinosa vissuta da una singola unità navale americana in tutta la guerra nel Pacifico, seconda solo al disastro dell’Arizona a Pearl Harbor. Un’ecatombe.

L’orgoglio ferito

Con due rimorchiatori a prua e l’incrociatore Pittsburgh a poppa, la Franklin fece rotta verso l’atollo di Ulithi per le prime riparazioni di fortuna. Il 24 aprile, dopo aver circumnavigato metà globo, arrivò al cantiere navale di New York per una grande opera di ricostruzione. Era la prima volta che tornava negli Stati Uniti dall’entrata in servizio. Il suo arrivo, ampiamente pubblicizzato dai media, suscitò commozione e sgomento nell’opinione pubblica americana, non abituata a vedere dal vivo le realtà tragiche della guerra.

Al contrario delle attese, però, l’accoglienza riservata alla Franklin e al suo equipaggio fu tutt’altro che trionfale. Una cupa nube si addensava sul futuro della nave e dei suoi uomini. Durante il viaggio di ritorno, infatti, il comandante Gehres aveva accusato di diserzione, reato gravissimo in tempo di guerra, circa 400 membri dell’equipaggio che avevano abbandonato la nave in fiamme il 19 marzo. In realtà quegli uomini erano saltati in mare per sfuggire a morte certa credendo, a torto o ragione, che fosse stato dato l’ordine di abbandonare la nave. Inoltre erano stati recuperati dalle navi di scorta e in parte riportati a bordo durante la sosta a Ulithi.

Gehres, forse per salvare la propria reputazione, aveva proclamato l’esistenza di un “club dei 704” composto da coloro che erano rimasti sulla nave, mettendo sotto accusa tutti gli altri. Una commissione d’inchiesta appurò che in realtà solo circa 400 uomini erano effettivamente rimasti sempre a bordo e che le accuse di Gehres erano infondate. Tutte le incriminazioni vennero fatte cadere, ma ormai il danno d’immagine per l’equipaggio era fatto. Gehres venne sollevato dal comando nel luglio 1945.

Nonostante le gravissime ferite, entro l’aprile 1946 la Franklin era stata riparata quasi integralmente, al costo di 45 milioni di dollari (oltre 600 milioni attuali). La sua odissea era stata raccontata nel documentario “The Saga of the Franklin“, ultima apparizione pubblica prima della radiazione avvenuta il 17 febbraio 1947. Dopo qualche anno in riserva, durante i quali ricevette nuove classificazioni ma non tornò mai in servizio attivo, la Franklin venne avviata alla demolizione il 1 agosto 1966.

L’eredità

La tragica storia della Franklin e del suo equipaggio, a lungo trascurata, è tornata alla ribalta grazie al recente documentario “USS Franklin: Honor Restored” del 2011 che ha fatto luce su molti aspetti controversi, restituendo onore e dignità ai protagonisti di quella terribile pagina di guerra.

Più che una vittima del nemico, la Franklin fu vittima dei propri limiti strutturali, del sovraffollamento, della scarsa compartimentazione di hangar e ponti inferiori, dell’eccessiva presenza di aerei, carburante e munizioni a bordo, di procedure di sicurezza approssimative. Limiti in gran parte comuni alle portaerei dell’epoca, concepite più per attaccare che per difendersi. Ma proprio quei limiti esaltano ancor di più l’eroismo di coloro che, a costo della vita, riuscirono a salvare la nave e gran parte del suo equipaggio. Non a caso, ben due Medaglie d’Onore, 22 Navy Cross e 26 Silver Star vennero assegnate a uomini della Franklin per le azioni compiute quel 19 marzo.

La Franklin ricevette 4 Battle Star per il suo servizio, ma la sua battaglia più grande fu quella per la sopravvivenza. Una battaglia vinta grazie allo spirito di sacrificio, all’abnegazione e alla disciplina dei suoi uomini. Uomini che dovettero lottare non solo contro il nemico e le fiamme, ma anche contro l’incomprensione, i pregiudizi e le accuse ingiuste.

Forse nessun’altra nave della seconda guerra mondiale ha incarnato in maniera tanto drammatica il concetto di “fortezza galleggiante”, di isola d’acciaio sospesa tra la vita e la morte. E forse nessun’altra ha dimostrato, in maniera così estrema, fin dove può spingersi la resistenza umana di fronte all’inferno.

Questo, in fondo, è il vero lascito della “Big Ben”. Non una storia di eroismo retorico o di patriottismo stereotipato, ma una testimonianza di dignità e di riscatto. L’orgoglio ferito di uomini costretti a convivere con i propri fantasmi, ma determinati ad andare avanti nonostante tutto. Perché combattere non significa solo vincere o morire. A volte significa semplicemente vivere. E sopravvivere.

Informazioni aggiuntive

  • Nazione: USA
  • Tipo nave: Portaerei
  • Classe:Essex
  • Cantiere:

    Newport News Shipbuilding


  • Data impostazione: 07/12/1942
  • Data Varo: 14/10/1943
  • Data entrata in servizio: 31/01/1944
  • Lunghezza m.: 265.8
  • Larghezza m.: 28.3
  • Immersione m.: 10.41
  • Dislocamento t.: 30.000
  • Apparato motore:

    8 caldaie da 565 psi (3,900 kPa) ad 850 °F (450 °C), 4 turbine a vapore ad ingranaggi Westinghouse, 4 eliche


  • Potenza cav.: 150.000
  • Velocità nodi: 33
  • Autonomia miglia: 14.100
  • Armamento:

    12 cannoni da 127 mm antinave e antiaerei, 32 mitragliere antiaeree da 40mm, 43 mitragliere antiaeree da 40 mm, 90-100 aerei


  • Corazzatura:

    Ponte di volo: 38 mm, Hangar: 64 mm, cintura: 64-102 mm, scafo: 102 mm


  • Equipaggio: 2600
  • Bibliografia – Riferimenti:
      

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