L'incrociatore americano CA-35 Indianapolis

Indianapolis

di redazione
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Impostato all’inizio degli anni trenta insieme agli altri incrociatori della classe Portland, l’Indianapolis fu varato il 7 novembre 1931 per entrare in servizio il 15 novembre dell’anno successivo; la concezione era simile a quello della precedente classe Northampton e risentiva delle limitazioni imposte dal trattato di Washington, in particolare l’armamento principale era limitato a 9 pezzi da 203mm di calibro alloggiati in 3 torrette trinate.
Dopo l’impostazione delle prime cinque navi della classe, con designazione tra CA-32 e CA-36, vennero iniziati i lavori su navi di classe successiva che presentavano caratteristiche talmente migliori che alcune modifiche vennero retroattivamente introdotte agli ultimi tre incrociatori Portland, ancora in fase di costruzione e quindi solo la Indianapolis e il Portland stesso rimasero pienamente aderenti alle specifiche iniziali. Le due navi avevano in comune una caratteristiche che avrebbe avuto successivamente delle conseguenze tragiche: la corazzatura proteggeva soltanto le aree vitali per favorire la velocità delle navi.

Il 7 dicembre 1941 l’Indianapolis scampò all’attacco di Perl Harbour in quanto quel giorno si trovava in missione di addestramento,  unitasi alla Task Force 12 nei giorni successivi all’attacco giapponese partecipò ad operazioni di caccia a mezzi nemici che si riteneva fossero ancora nelle vicinanze delle isole Hawaii.

Nel febbraio 1942 partecipò  a scontri con l’esercito e la marina giapponese a sud di Rabaul e nel marzo divenne l’ammiraglia della Task Force 11 che contava altri 7 incrociatori e 14 cacciatorpediniere; la TF 11 si unì alla Task Force 17 (che poteva contare tra le altre navi sulla portaerei Yorktown) attaccando con successo in Nuova Guinea Lae e Salamaua, punti in cui l’esercito imperiale giapponese stava radunando forze anfibie per un successivo attacco.

Tornata in patria per lavori di riparazione e ammodernamento, la Indianapolis scortò un convoglio diretto in Australia e quindi partecipò alla battaglia delle Isole Aleutine dove più che con i Giapponesi i marinai americani dovettero confrontarsi con le difficili condizioni meteorologiche di pioggia a freddo estremo. Insieme al gruppo di attacco americano partecipò alle operazioni di neutralizzazione di Kiska.

Nel gennaio 1943 l’Indianapolis partecipò alle operazioni che portarono all’occupazione di Amchitka da parte americana, sempre nelle isole Aleutine. Nel corso delle successive operazioni di interdizione del traffico navale nemico affondò il trasporto armato Akagane Maru. Nel maggio dello stesso anno gli americani riconquistarono Attu per poi sbarcare e finalmente riconquistare Kiska.
Dopo aver fatto riferimento a Mare Island, la Indianapolis si diresse alle Hawaii dove divenne la nave di bandiera del vice ammiraglio Raymond Spruance, comandante in capo della V Flotta.Nel novembre del 1943 partecipò all’invasione delle isole Gilbert e il 19 dello stesso mese bombordò una prima volta l’isola di Tarawa. Direttasai verso le isole Makin la nave partecipà alla battaglia di Makin per poi tornare a bombardare nuovamente Tarawa e quindi partecipare alle operazioni di conquista delle isole Marshall.

Nei primi due mesi del 1944 la Indianapolis, di nuovo insieme alla sua Task Force, partecipò ai bombardamenti dell’atollo di Kwajalein. Nei mesi di marzo e aprile attaccò le isole Caroline Occidentali, operando sempre come nave ammiraglia della V Flotta. In giugno la Quinta Flotta partecipò all’assalto delle isole Marianne e alla battaglia del mare delle Filippine. Il 23 giugno la nave fece ritorno a Saipan dove si occupò di proteggere le truppe di invasione e una settimana dopo si diresse a Tinian per bombardare le fortificazioni nemiche a terra. Dopo la cattura di Guam la Indianapolis fu la prima nave americana ad entrare nel porto di Apra Harbor dopo l’occupazione giapponese all’inizio della guerra.
Nelle settimane successive la nave operò nelle Marianne e si spostò quindi nelle Caroline Occidentali bombardando dal 12 al 29 settembre l’isola di Peleliu nelle Paiau. Si diresse quindi verso il Manus, nelle Isole dell’Ammiragliato dove fu sottoposta a 10 giorni di lavori di manutenzione per poi fare ritorno a Mare Islanda, il cantiere navale in California.

USS Indianapolis CA 35 off the Mare Island Naval Shipyard on 10 July 1945 19 N 86911

Revisionata e rimessa a nuovo, la Indianapolis il 14 febbraio 1945 si unì alla Task Force 58 del vice ammiraglio Mitscher partecipando agli attacchi di copertura dell’isola giapponese di Iwo Jima in vista del successivo sbarco svolgendo ruolo di nave supporto. Dopo aver compiuto un attacco su Tokyo la indianapolis, svolgendo il ruolo di ammiraglia della Task Force 50, partecipò ai combattimenti dell’isola di Iwo Jima dove rimase fino al primo marzo per poi unirsi nuovamente alla Task Force dell’ammiraglio Mitscher e tornare a bombardare Tokyo.
Insieme al resto della Task Force, a partire dal 14 marzo, partecipò alle operazioni di bombardamento dell’isola di Okinawa dove, a partire dal giorno 24, l’Indianapolis bombardò le infrastrutture difensive di terra dell’isola, difendendosi strenuamente dagli attacchi aerei giapponesi.
Il 31 marzo venne attaccata da un solitario bombardiere giapponese che riuscì a sganciare la sua bomba da un’altezza di soli 8 metri prima di schiantarsi sul portello di poppa. La bomba attraversò la sala mesa dell’equipaggio, i compartimenti dei serbatoi di carburante e la chiglia per poi esplodere in mare, provocando due falle, allagando due compartimenti e uccidendo nove uomini dell’equipaggio. Nonostante la sfacciata fortuna la nave aveva riportato danni, in particolare alle assi delle eliche, ai serbatoi del carburante e ai sistemi di distillazione dell’acqua per cui dovette dirigersi verso il Mare Island per le necessarie riparazioni.

Al comando del capitano Charles Butler McVay III la Indianapolis trasportò da San Francisco a Tinian due scienziati, l’uranio 235 e importanti parti di Little Boy, la bomba atomica che sarebbe stata successivamente sganciata sulla città giapponese di Hiroshima. Partita il 16 luglio 1945 la nave raggiunse Pearl Harbour in 74 ore e mezza alla fantastica velocità media di 29 nodi (54 Km/h), record tuttora insuperato. Il 26 luglio i componenti della bomba vennero consegnati alla destinazione finale di Tinian.
Terminata la missione la nave si diresse a Guam dove parte dell’equipaggio venne sbarcata e congedata per essere sostituita da nuovi elementi, freschi di arruolamento. Il 28 luglio salpò in direzione di Leyte dove l’equipaggio avrebbe avuto modo di addestrarsi prima di proseguire per Okinawa dove la Indianapolis si sarebbe dovuta unire alla Task Force 95 del vice ammiraglio Jesse Oldendorf.

L’affondamento dell’Indianapolis

Alle 00:15 del 30 luglio 1945, due siluri di tipo 95, lanciati dal sommergibile giapponese I-58 comandato dal Comandante Machitsura Hashimoto colpirono la fiancata dall’incrociatore Indianapolis causando gravissimi danni tra cui l’interruzione dell’elettricità, soltanto 12 minuti dopo la nave era affondata portando con sè circa 300 dei 1.196 uomini di equipaggio mentre i sopravvissuti cercavano di resistere pur avendo a disposizione un numero insufficiente di scialuppe e di giubbetti di salvataggio. Prima dell’affondamento il marconista era riuscito ad inviare un segnale di SOS che apparentemente venne ricevuto da tre stazioni riceventi americane ma, per diversi motivi, la richiesta di soccorso non venne raccolta.

Per i 900 superstiti iniziò una durissima e interminabile battaglia contro la disidratazione, la fame e gli squali; nel corso dei giorni successivi molti tra i superstiti perirono di stenti o affogarono in preda ad allucinazioni o peggio ancora vennero divorati dagli squali prima di ricevere soccorsi. In un primo momento i naufraghi riuscirono ad organizzarsi e provarono a raggruppare le imbarcazioni di fortuna cui erano aggrappati mantenendo un minimo di ordine e di disciplina e soprattutto rispettando gli ordini di distribuzione delle razioni di emergenza presenti nei barchini di salvataggio.
Numerosi razzi di segnalazione furono effettivamente avvistati il giorno 31 dal C-54 da trasporto dell’esercito in rotta da Manila a Guam, ma il rapporto del comandante dell’aereo venne ignorato. A Leyte l’arrivo dall’incrociatore era previsto per il giorno 31 ma ancora per i due giorni successivi nessuno al centro di controllo del traffico sembrò preoccuparsi troppo.

Finalmente, alle 10.25 del 2 agosto un Lockheed Ventura della marina in volo di pattugliamento avvistò delle chiazze di nafta in mare. Pensando alla presenza di un sottomarino giapponese in un primo momento si preparò all’attacco che riuscì ad abortire in tempo quando il comandante si accorse della presenza dei naufraghi. Il comandante dell’aereo lanciò due battellini gonfiabili dotati di trasmettitori radar ma i superstiti dell’Indianapolis non riuscirono ad azionarli. Il tenente Gwim, il pilota del Ventura, segnalò immediatamente l’avvistamento ma in un primo momento non ci si rese conto della portata della catastrofe dato che si pensava ad una trentina di marinai in mare. Dalla base di Peleliu si mise in volo un idrovolante Catalina pilotato dal comandante Adrian Marks carico di materiali di soccorso alla ricerca dei superstiti. Durante il volo l’idrovolante incrociò il cacciatorpediniere Cecil J. Doyle il cui comandante decise, sotto la propria responsabilità, di unirsi alle operazioni di salvataggio.
Quando il Catalina di Marks raggiunse i naufraghi le proporzioni del disastro divennero molto più chiare e dalla iniziale stima di 30 uomini in mare si cominciò a parlare di 150. Pur sapendo che non sarebbe riuscendo a rimettere l’aereo in volo, Marks decise di ammarare permettendo a 56 naufraghi di mettersi in salvo nella fusoliera, sui galleggianti e addirittura sulle ali dell’idrovolante. Arrivata la notte anche il cacciatorpediniere Doyle era arrivato in zona e la nave, per salvaguardare i superstiti e mettendo a repentaglio la propria incolumità, ridusse la velocità accendendo luci e fari di bordo, rendendosi visibile ad eventuali sommergibili giapponesi ma anche ai superstiti che poterono finalmente vedere con i loro occhi l’arrivo imminente dei soccorsi.
Finalmente tutte le navi e i mezzi disponibili si misero alla ricerca di altri eventuali superstiti fino all’8 agosto quando, al termine delle operazioni di salvataggio solo 316 uomini dei 1196 uomini di equipaggio furono recuperati.

Il comandante Charles Butler Mc Vay III era tra i superstiti della nave. Sottoposto alla corte marziale, nel novembre del 1945 l’ufficiale venne giudicato colpevole per aver messo in pericolo la sua nave rinunciando a zigzagare. Dovette intervenire direttamente l’ammiraglio Nimitz che prosciolse il comandante McVay dalle accuse rimettendolo in servizio attivo, ma parte dell’opinione pubblica continuò a ritenerlo colpevole tanto che nel novembre del 1968 il comandante si suicidò sparandosi con il revolver di ordinanza. Fu solo nell’ottobre del 2000 che il Congresso degli Stati Uniti pose definitivamente fine alla questione approvando una risoluzione firmata dal presidente Clinton con cui il capitano McVay veniva definitivamente prosciolto da tutte le accuse per la perdita dell’incrociatore Indianapolis.

Informazioni aggiuntive

  • Nazione: Stati Uniti
  • Tipo nave: Incrociatore
  • Classe:Portland
  • Cantiere:

    New York Shipbuilding, Camden, New Jersey


  • Data impostazione: 31 marzo 1930
  • Data Varo: 7 novembre 1931
  • Data entrata in servizio: 15 novembre 1932
  • Lunghezza m.: 190
  • Larghezza m.: 20
  • Immersione m.: 5.3
  • Dislocamento t.: 9800
  • Apparato motore:

    8 caldaie White-Foster
    turbine ad ingranaggi a riduzione singola


  • Potenza cav.: 107.000
  • Velocità nodi: 32.7
  • Autonomia miglia:
  • Armamento:

    9 cannoni da 8″ (203 mm)/55, 8 cannoni da 5″ (127 mm)/25,6 mitragliere quadrinate Bofors da 40mm anti aeree, 19 mitragliere da 20mm Oerlikon antiaeree in postazioni singole,  2 idrovolanti OS2U Kingfisher


  • Corazzatura:

    Cintura 83-127mm, Ponte 64mm, Barbette 38mm, Torrette 38-64mm, torre di comando 32mm


  • Equipaggio: 1.269
  • Bibliografia – Riferimenti:
      

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