Recensione del film L’uomo della croce (1943)

L’uomo della croce

di redazione
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Siamo nel 1942 e l’esercito Italiano è impegnato nella campagna di Russia. Il protagonista del film, l’uomo della croce, è il cappellano militare del reparto (il film è dedicato dal regista, Roberto Rossellini a tutti i cappellani militari della Seconda Guerra Mondiale).

Un reparto di carri armati dopo uno scontro con il nemico riceve l’ordine di spostarsi. Uno dei carristi, ferito, non può essere spostato e deve essere lasciato al suo destino. Il cappellano decide di rimanere con lui e i due vengono presi prigionieri dai Russi.

Dopo una prima fuga si rifugiano in una capanna, affollata di donne e bambini. Di nuovo arrivano i Russi e si scatena una battaglia, proprio contro i reparti italiani, con la casa sottoposta al fuoco.

L’eroico cappellano, al prezzo della vita, riesce a portare i salvo i feriti, le donne e i bambini.

Tipico esempio della propaganda italiana il film tende a presentare il lato umano dei soldati in guerra. L’eroismo sta nel salvare le persone non tanto nello sconfiggere i nemici. Con tutto il rispetto per Rossellini è un film poco più che mediocre, con qualche scene strappalacrime e tutti i costi e molta poca sostanza, molto poco interessante.

Informazioni aggiuntive

  • Titolo originale: Stalag 17
  • Anno: 1943
  • Paese di produzione:Italia
  • Durata:  88 
  • Principali interpreti:

    Alberto Tavazzi Attilio Dottesio Roswitha Schmidt

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